[articolo pubblicato sulla Gazzetta di Reggio il 5 Febbraio 2012]
Dal ventidue dicembre la vita di Giovanni Tizian, collaboratore del gruppo l’Espresso, è cambiata. Due giorni prima della vigilia di Natale, oltre alle consuete telefonate di auguri da parte di familiari ed amici, Tizian ha ricevuto una telefonata sicuramente meno desiderata. Dall’altro capo della linea c’era il procuratore capo di Modena Zincani che gli annunciava la decisione di assegnarli due uomini di scorta.
Ora, che tutto è diventato più difficile, per non farlo sentire solo e per esprimergli solidarietà, in tanti sono accorsi alla spaghettata antimafie organizzata dell’Anpi in collaborazione con “Libera. Associazioni nomi e numeri contro le mafie”, ieri all’oratorio Helder Camara di San Polo.
Friselle pugliesi, polenta fritta, erbazzone reggiano, spaghetti: prelibatezze del sud e del nord, prodotti quasi tutti provenienti dalle terre confiscate alla mafie, coltivate da aziende agricole sociali d’agricoltura biologica. «Consumare i prodotti dei terreni confiscati alle mafie è un segnale importantissimo», ha sottolineato Annalisa Duri del coordinamento di Libera Reggio. «Spesso le terre dei mafiosi una volta confiscate vengono abbandonate. Questa è una sconfitta per lo stato e così la gente può dire “meglio quando c’era il mafioso”. Acquistando i prodotti di queste terre si ridà speranza alla faccia pulita dell’Italia».
Dopo pranzo, Tizian ha parlato di “Gotica. ‘Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea” edito da Round Robin. 300 pagine con fatti, nomi e cognomi. Un colpo durissimo sferrato alle mafie. Tizian ha iniziato parlando dai soggiorni obbligati degli anni ’80, quando molti mafiosi furono confinati nelle regioni settentrionali. Al nord però ricostruirono ben presto la loro rete di affari e potere. «Le infiltrazioni delle cosche oggi passano soprattutto attraverso l’edilizia, le sale da gioco e i locali notturni. E tutto l’indotto che le riguarda: immobiliare, slot machine, sicurezza, cantieri, trasporti, catering e forniture varie».
«Spesso però sopra la linea gotica – ha raccontato Tizian – una larga fetta della società confonde i mafiosi con gli imprenditori e pensa di poter fare affari con loro. In molti quando vedono giacca e cravatta non pensano ad un mafioso. Spesso si accettano le loro proposte commerciali e i loro prezzi molto più convenienti rispetto a quelli dell’economia legale».
Tizian è giovane, ha meno di trent’anni, ma ha un grande coraggio e promette di non fermarsi. Alla spalle ha una storia familiare particolare. A 7 anni non vede più il padre tornare a casa: è stato freddato in una agguato di ‘ndrangheta a Bovalino, in Calabria. Per questo nel 1989 Tizian con la madre viene a vivere al nord. Giovanni però non ha mai dimenticato e appena ha potuto ha preso carta e penna. Si è messo a fare il cronista, seguendo le piste dei soldi riciclati, delle infiltrazioni mafiose negli appalti e nelle amministrazioni pubbliche.
“Io mi chiamo Giovanni Tizian” è il nome della campagna promossa da “DaSud” per sostenere Tizian. Ha già ottenuto l’adesione di centinaia di cittadini, autorità e personalità. Tra questi Giulio Cavalli, l’attore lodigiano finito sotto protezione perché nei suoi spettacoli teatrali ha fatto nomi e cognomi dei mafiosi al nord. E’ possibile aderire alla compagna in sostegno di Tizian sul sito internet di “DaSud”.
Elia Minari (collaboratore giornalino studentesco Cortocircuito)
L’INTERVISTA
Tizian, perché ha deciso di occuparsi di mafie? «E’ un fenomeno sempre più vicino a noi, ma ancora poco conosciuto. Per questo ho cominciato a indagare per cercare di comprenderlo meglio. E più si scava più si comprende la gravità della situazione».
Sono molti i libri sulle mafie al nord. Perché il suo ha fatto più clamore? «Molti giornalisti si limitano ad analizzare la presenza mafiosa in Lombardia. Io cerco di dare una visione complessiva, allargandomi anche alle altre regioni oltre la linea gotica, tra cui l’Emilia Romagna».
Come si manifestano le mafie a Reggio Emilia? «A volte si manifestano con episodi di violenza, come l’agguato all’imprenditore Lombardo e le auto bruciate. Ma più spesso si manifestano con intrecci societari e compromessi tra mafia e imprese. Questo secondo aspetto rimane più nell’ombra. Così come in pochi sanno che alcuni boss della ‘ndrangheta risiedono in Emilia».
Secondo lei a Reggio c’è consapevolezza tra i cittadini? «C’è consapevolezza da parte dei cittadini impegnati, la cosiddetta società civile. Tuttavia il fenomeno non è sempre ben recepito da gran parte della politica e dell’imprenditoria. L’indifferenza, in particolare quella imprenditoriale e politica, favorisce le attività mafiose».
Ha paura a denunciare queste cose? «No, paura no. So di non essere solo. La solidarietà e l’impegno nella lotta contro le mafie sono in aumento. Questo grazie all’informazione, che ha un ruolo fondamentale nella società».
Cosa significa per un giornalista avere la scorta? «Significa soprattutto organizzare bene il tempo e ogni spostamento. Anche rilasciare un’intervista non è più facile come prima».
Riccardo Pelli e Elia Minari (collaboratori giornalino studentesco Cortocircuito)