[articolo pubblicato sulla Gazzetta di Reggio il 7 Febbraio 2012]
Negli occhi dei senza tetto si nasconde il freddo più intenso. Emergono storie difficili a credere. La Caritas di via Adua alle cinque di domenica pomeriggio s’affolla. La fila davanti ad un pasto caldo unisce tanti volti e tante vite. Extracomunitari, padri di famiglia, vedove, bambini, anziani, uomini soli, disoccupati.
Carlo Stefani è un cinquantenne emiliano. Ha perso il suo lavoro fisso come camionista l’estate scorsa, si nutre quotidianamente in mensa. «Ho sempre vissuto dignitosamente, non avrei mai pensato di ridurmi così», confessa amareggiato. L’attuale crisi economica ha stroncato il suo presente. La causa di divorzio dalla sua seconda moglie lo ha privato degli ultimi risparmi. Sebbene tutte le patenti di guida conseguite e gli anni d’esperienza in Italia e all’estero, è costretto a vivere nella sua Ford Focus, senza un impiego. «Se mi chiamassero a lavorare a Dubai domani, andrei. Non ho paura di vivere lontano. In Italia a cinquant’anni non trovo più lavoro». Nelle parole di Carlo si percepisce tutto il pudore e l’imbarazzo di presentarsi in quanto nullatenente. «Ci sono stati periodi della mia vita in cui guadagnavo sei milioni al mese e cambiavo auto ogni quattro anni. Oggi non ho niente e nessuno. Questi sono gli unici vestiti che ho».
Nino è emigrato dalla Giordania, da sei anni vive per strada, dopo essere stato costretto a cedere la sua attività alla moglie in fase di separazione. «Stasera andrò a dormire alla stazione di Ferrara. La stazione di Reggio è troppo fredda. Non c’è una sala d’aspetto allestita». Non è il solo che si lamenta dell’inadeguatezza degli spazi d’accoglienza nella nostra stazione. A protestare ci pensa Salvatore Quero. Si muove freneticamente tra i tavoli, mostrando il referto del suo ultimo infarto e copie della Bibbia, di cui racconta di essere un fanatico studioso. Personaggio alquanto singolare è un assiduo frequentatore della Caritas e “capo banda” per molti senza tetto.
Intanto la processione in mensa è incessante; si presenta anche una famiglia intera di rom con due bambini piccoli. O un gruppo di collaboratrici domestiche dell’est. Spunta anche chi generosamente offre del suo, portando scorte di cibo e vestiti. La solidarietà si rivela ancora una volta indispensabile. Molti dei frequentatori della mensa Caritas ammettono di essere ospitati provvisoriamente in casa di amici o conoscenti. Altri s’accontentano delle sale d’aspetto delle stazioni o dei locali del pronto soccorso. Altri ancora hanno trovato alloggio in Casa Bettola. E’ il caso di Edoardo Monney. Sessantottenne reggiano, malato di cancro e con seri problemi polmonari. Nelle scorse notti di gelo ha dormito dentro al box per foto tessere in stazione. Da pochi mesi ha subìto una sfratto che lo ha costretto alla vita da strada insieme alla sua compagna disoccupata.
Edoardo è protagonista di una storia dolorosa. Padre di tre figli che non vede da trent’anni avuti dalla prima moglie, ex prostituta di via Guasco, che lui ha tentato invano di togliere dalla strada. Con la seconda compagna, più giovane di lui di trent’anni, ha avuto poi un figlio che ora ha due anni e che è stato dato in affidamento. «Non voglio chiedere nulla ai miei figli grandi. Io mi accontento di poco». Edoardo ribadisce di non avere tanti vizi. «Mi rendono felice un pacchetto di sigarette e una birra, se me li offrono». Non possedendo un’ auto propria, è oggi in cerca di un lavoro possibilmente in città che sia compatibile con le sue forze fisiche. Fino a giovedì sarà ospitato nella Casa cantoniera autogestita di via Martiri della Bettola. «Non voglio pensare a cosa farò da giovedì in poi. Sarò ancora per strada, al gelo. Per ora brindo alla vita».
Edoardo fra una settimana sarà ancora per strada. E come lui tanti altri che non hanno ancora un volto, ma esistono. Sperano come tutti gli esseri umani in un lavoro e in un tetto sicuro. Sarebbe meglio non ricordarselo solo nei momenti di emergenza.
Valentina Barbieri (collaboratrice giornalino studentesco Cortocircuito)