[articolo pubblicato sulla Gazzetta di Reggio il 28 Gennaio 2012]
Sembrava lontana e si è avvicinata a passi da gigante. La Cina del XXI secolo sta scalando la classifica globale e quotidianamente fa acquisti nel mondo occidentale in crisi. Compra banche, aziende storiche in crisi e titoli di stato dei nostri paesi. Il professor Giorgio Prodi, docente e ricercatore di economia all’Università di Ferrara e membro dell’osservatorio Asia, ha cercato di spiegare i motivi di tale successo in un partecipato incontro dal titolo “Italia-Cina”, lunedì alla Gabella di via Roma a Reggio Emilia.
«Negli ultimi 30 anni la Cina ha accumulato risorse, esportando molto di più di quanto importasse», ha esordito Prodi. «Grazie anche ad un alto tasso di risparmio di famiglie ed imprese, può ora fare grandi investimenti in tutto il globo. La Cina fa acquisti dall’Australia all’Africa, dagli Stati Uniti all’Europa».
Giorgio Prodi, con grafici e dati alla mano, ha ripercorso in modo rigoroso le tappe fondamentali del successo cinese. Già dal nome “Cina”, che in lingua madre significa “paese di mezzo”, si può comprendere bene la concezione cinese del mondo: “noi siamo al centro del pianeta, gli altri si devono adeguare”. Infatti, ha spiegato Prodi, lo sviluppo economico è stato possibile anche grazie al nazionalismo, che oggi costituisce il fattore centrale della politica cinese. A differenza del comunismo, ormai rimasto solo sulla carta.
«Spesso l’economia cinese – ha proseguito il figlio dell’ex Presidente del Consiglio – nel nostro paese viene avvertita come una minaccia. La realtà però è diversa. Ad esempio, i cinesi hanno permesso a molto aziende italiane di continuare ad essere competitive. A differenza di quanto si crede, l’economia di Prato senza i cinesi sarebbe morta. Perché senza gli immigrati dagli occhi a mandorla, Prato non avrebbe retto la concorrenza del mercato globale».
«Affinché il nostro paese possa trarne notevoli vantaggi – ha continuato – occorre migliorare le relazioni economiche, ma anche quelle culturali. Possiamo vendere ai cinesi prodotti di alta qualità. Infatti oggi l’Italia esporta in Cina soprattutto prodotti della meccanica. Dobbiamo valorizzare questi settori e non demonizzarli come si è fatto negli ultimi anni. A dire il vero in Cina esportiamo anche rifiuti, in particolare quelli industriali».
Quando gli viene chiesto se in Cina si prevedono rivolte come nel nord Africa, Giorgio Prodi è dubbioso: «Non credo. Il governo di Pechino, anche grazie allo straordinario sviluppo economico, gode di grande consenso tra i suoi cittadini. Anche se in occasione delle ribellioni africane il governo di Pechino ha innalzato il livello di guardia e intensificato i controlli».
Ci lamentiamo del fatto che i cinesi producano falsi? «Dovremmo incominciare dal nostro paese. L’Italia è il secondo produttore mondiale di falsi». Un altro luogo comune: «Si protesta per la concorrenza sleale dei loro prodotti? I due terzi delle esportazioni cinesi – ha concluso il prof. Prodi – sono opera di aziende occidentali con filiali in Cina».
L’incontro, coordinato da Elia Minari dell’associazione “Cortocircuito”, fa parte degli eventi promossi da “Gabella” nell’ambito della scuola di etica “Giacomo Ulivi”.