Articolo di Marco Scipolo
«Anche in Emilia i diritti, la legalità e la democrazia non sono scontati. Sono principi da rendere concreti, riaffermandoli ogni giorno. Lo dimostrano, ad esempio, le oltre quaranta aziende bloccate negli ultimi anni dalle Prefetture di Modena e Reggio Emilia».
A sottolinearlo, ad AgoraVox, è Elia Minari, reggiano, studente universitario di Giurisprudenza, di recente insignito del Premio nazionale “Iustitia”, riconoscimento istituito dal corso di pedagogia della R-Esistenza dell’Università della Calabria per onorare la figura di Rosario Livatino, il giudice 37enne che indagava sugli intrecci tra criminalità organizzata, politica ed imprenditoria e che fu ucciso dalla mafia nel 1990, da quattro killer, mentre si stava recando con l’auto al tribunale di Agrigento. Queste le motivazioni del Premio conferitogli:
«Elia Minari ha avuto il coraggio di fare una cosa straordinaria: già da quando era studente liceale ha denunciato le infiltrazioni del potere ‘ndranghetista nella città di Reggio Emilia e nella regione Emilia-Romagna. La redazione di Cortocircuito, web-tv indipendente e associazione di Reggio Emilia, che Elia Minari coordina, fa inchieste forti, vere. C’è un modo diverso di stare al mondo anche a vent’anni, Elia ne è la dimostrazione. Elia Minari è un giovane giornalista, autore di video-inchieste controcorrente sulla criminalità organizzata in Emilia Romagna. È un esempio per le nuove generazioni». A Cosenza gli è stata assegnata la Croce Bizantina, simbolo del Premio Iustitia “Rosario Livatino”, in memoria della frase più celebre del giudice: «Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili».
«Il lavoro di redazione parte sempre dalla ricerca e dall’approfondimento dei documenti, cercando di mettere in fila nomi, cognomi e fatti», spiega il coordinatore di Cortocircuito che è formato da una quindicina di ragazze e ragazzi universitari, di età compresa tra i diciannove ed i ventidue anni. Giovani pieni di entusiasmo, che hanno volontà di informarsi e di informare, che amano la propria terra e sensibilizzano alla legalità cittadini e coetanei. Realizzano inchieste ed organizzano incontri con esperti antimafia in luoghi pubblici e scuole, accendendo i fari sulle infiltrazioni mafiose nel loro territorio, per troppi anni negate od ignorate. Per questo sono diventati anche scomodi, per qualcuno, e hanno ricevuto intimidazioni.
Solo negli ultimi mesi, da settembre 2013 all’aprile 2014, hanno promosso 48 iniziative antimafia. Rappresentano la gioventù migliore del nostro Paese, quella nella quale riponevano fiducia tanti servitori dello Stato, che hanno sacrificato la vita nella lotta contro la mafia, come il generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, il quale già nel 1982 parlò di presenza mafiosa nel Nord Italia.
Osservando il lavoro svolto da questi ragazzi, il pensiero non può non andare alle parole di speranza pronunciate proprio dal Generale: «Credo nei giovani e nel loro sguardo pulito. Li amo perché sono semplici, sono di pasta buona, hanno gli occhi puliti e ne sono spesso ricambiato». I ragazzi di Cortocircuito, impegnati in un progetto encomiabile, sono i giovani che abbiamo il dovere di non lasciare soli perché mettono in pratica gli insegnamenti e gli ideali di molti eroi italiani, da Carlo Alberto dalla Chiesa a Pippo Fava, da Rosario Livatino a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ecco l’intervista che Elia Minari ci ha rilasciato.
– Complimenti, davvero, per il Premio “Iustitia”. Si aspettava di ricevere questo riconoscimento dedicato alla memoria di un rigoroso ed eroico magistrato antimafia come Livatino? E ci può descrivere l’emozione della cerimonia ufficiale di consegna?
E’ un premio con un significato profondo, spero di meritarlo. Certamente è stata un’emozione intensissima, ma ancora più emozionante è stato conoscere alcuni dei tanti studenti che hanno scelto di assistere alla premiazione all’Università della Calabria, con sede a Cosenza. Negli sguardi e nelle voci di quelle ragazze e di quei ragazzi calabresi ho notato tanta voglia di autentico riscatto. Un desiderio di cambiare le cose che raramente ho incontrato nel laborioso Nord Italia, di cui sono originario.
– Alla premiazione era presente anche il magistrato Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria…
Esatto, l’esperienza cosentina è stata anche l’occasione per rincontrare il procuratore Nicola Gratteri. I magistrati come Gratteri andrebbero ringraziati e ricordati da vivi e non solo dopo la morte, come è invece accaduto al giudice Rosario Livatino, a cui il premio “Iustitia” è intitolato.
– Lei è giovane. Quando e perché ha iniziato ad interessarsi di legalità e lotta alla mafia?
Ho iniziato a interessarmi del problema per la prima volta quando avevo undici anni. Un mio compagno di corso della scuola media, solitamente piuttosto agitato ed esuberante, era stranamente silenzioso. All’improvviso era diventato nipote di un condannato, a più di dieci anni di carcere, poiché personaggio di primo piano della ‘ndrangheta, la mafia calabrese. Ancora oggi sul padre e sulla famiglia del mio compagno ci sono diverse indagini di mafia. E suo zio è stato ucciso in una faida della criminalità organizzata.
– E’ stato un episodio isolato?
Quando frequentavo i primi mesi di scuola delle elementari, una bomba esplose in un bar, provocando diversi feriti. Quel bar era poco lontano da casa mia. A quell’episodio è seguita una scia di sangue di stampo ‘ndranghetista con alcuni morti ammazzati sulle strade della mia città. Eppure non sono nato nel profondo Sud Italia, ma nella civilissima Reggio Emilia, dichiarata cuore produttivo dell’Emilia efficiente.
– Cos’è Cortocircuito e come si è sviluppato nel tempo?
Cortocircuito è una web-tv indipendente che realizza documentari e video-inchieste principalmente sulla criminalità organizzata, ma non solo. L’esperienza di Cortocircuito però è nata, nel 2009, come giornale studentesco delle scuole superiori di Reggio Emilia. Fin da subito abbiamo cercato di approfondire quelle tematiche secondo noi taciute o sottovalutate dai media tradizionali. Abbiamo cercato di farlo senza presunzione, senza essere giornalisti professionisti, ma semplici studenti. Così siamo arrivati a realizzare alcune inchieste sulla stazione Mediopadana, l’unica fermata in linea del treno ad alta velocità tra Milano e Bologna, oltre che su Iren, la multiutility che gestisce il ciclo dei rifiuti in diverse città del Nord Italia.
– Negli anni passati, c’è stata una sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni mafiose nel territorio dell’Emilia Romagna?
Sicuramente. Oggi sono in tantissimi ad ammetterlo, più difficile era dichiararlo alcuni anni fa. Per tanto tempo, nonostante diversi episodi avrebbero dovuto fare preoccupare, molte persone – mi ricordo le interviste realizzate cinque anni fa – affermavano con sicurezza: “L’Emilia-Romagna ha gli anticorpi contro le mafie. Nelle nostre città il tessuto economico è sano”. Addirittura, alcuni anni fa, un esponente del mondo economico arrivò a scrivere su un giornale locale che le iniziative antimafia rovinavano il volto pulito dell’Emilia. Credo invece che siano state queste persone a rovinarci.
– Si preferiva chiudere un occhio?
Certo, sperando in lucrosi affari. Probabilmente, solo per fare un esempio, si è lasciato costruire troppo ad aziende sospette: oggi a Reggio Emilia un appartamento su dieci è vuoto. C’è una responsabilità anche politica, attraverso i piani regolatori. Negli ultimi anni le Prefetture di Modena e Reggio Emilia hanno bloccato oltre quaranta aziende in odore di mafia: numeri da brivido. E una recente inchiesta ha messo in manette un noto giornalista televisivo e imprenditori emiliani.
– La vostra video-inchiesta “Non è successo niente”. 40 roghi a Reggio Emilia svela, fra l’altro, la presenza dell’omertà anche al Nord. È vero che siete stati anche minacciati?
Non vogliamo fare del vittimismo, però accade che alla fine di alcune iniziative antimafia si avvicinino personaggi particolari che vogliono darci alcuni “suggerimenti”. Così come, in più di un’occasione, ci è stato impedito di effettuare alcune riprese, fino alle manate sulla telecamera. Eppure quelle registrazioni video sono del tutto legittime, poiché realizzate da suolo pubblico. Così ho dovuto mettere in discussione i miei pregiudizi e i luoghi comuni sulla regione in cui vivo. A differenza di quanto mi avessero raccontato i miei genitori, mi sono reso conto che anche in Emilia i diritti, la legalità e la democrazia non sono scontati. Sono principi da rendere concreti, riaffermandoli ogni giorno.
– I cittadini appoggiano le vostre iniziative di promozione della cultura della legalità?
Parallelamente ai video e alle inchieste, organizziamo numerose iniziative, quasi sempre molto partecipate. In questi incontri, con ospiti magistrati ed esperti del fenomeno, cerchiamo di esortare la cittadinanza a essere più sensibile al tema, partendo dal confronto. Perché se non si conosce un fenomeno è impossibile riuscire a fronteggiarlo adeguatamente. Anche noi dell’associazione Cortocircuito abbiamo continuamente bisogno di informarci e di aggiornarci.
– A che punto è la vostra ultima inchiesta?
Anticipo solo che riguarda anche alcuni cantieri pubblici e coinvolge pure nomi emiliani doc. Inoltre stiamo progettando un nuovo intenso ciclo di incontri antimafia all’interno delle scuole superiori, a causa della richiesta sempre crescente da parte di insegnati e presidi. Gli studenti spesso sono molto curiosi e rimangono sbalorditi quando gli spieghiamo, basandoci sempre su documenti ufficiali, che alcune discoteche che frequentano hanno avuto contiguità con la criminalità organizzata.
Intervista di Marco Scipolo per “AgoraVox”.
[5 luglio 2014]