Memorie di un amante (Angelo Vassallo)

Una serata come le altre. Tranquilla. Silenziosa. Era una serata in cui le mie preoccupazioni erano svanite nelle ombre e dovevano rimaner li finché l’aurora non le avrebbe illuminate nuovamente. Con la mente leggera correvo veloce, con la mia Audi grigia, fra le tante strade del mio paese perché,  a casa, mi attendevano. Amavo la mia famiglia tanto quanto la mia terra perché mi sapevano regalare grandi emozioni ma soprattutto mi sapevano riscaldare il cuore sempre e comunque.

Ero un folle per molti, un visionario per altri ma sono certo che è proprio grazie alla mia “follia”, se così si può definire, e alla mia voglia di porgere l’occhio verso il futuro che oggi la mia gente si trovi a vivere in gioia e serenità. Pollica è sempre stata la mia ragione di vita. I suoi cittadini, le sue case, le sue situazioni ed il suo mare saranno sempre parte di me. Ah.. Il suo mare.. Solcai le sue onde assaporandone gusto e odore . Fronteggiai molte volte le sue ire, sfidando il destino, uscendone sempre vincitore. Ero certo che il mare non sarebbe mai stata la mia tomba.

Correvo. Le luci dei lampioni mi illuminavano il cammino. Dovevo fare presto. Avevo una gran voglia di baciare mia moglie e di abbandonarmi, poi, nella grande notte salernitana. Imboccai, quindi, una piccola strada secondaria. Scalai un paio di marce facendo rombare il mio potente motore tedesco che, certamente, non avrebbe avuto alcun problema ad affrontare l’esigua salita che mi si celava dinnanzi.

L’orologio segnava le ore 22. Ad un certo punto, poco distante da me, comparve una macchina che, con i suoi due fari, mi disturbarono la vista. Anch’essa correva veloce ma in senso opposto al mio. Mi misi su un lato della strada, permettendo così il  transito anche se, in teoria, la viabilità era a senso unico. continua a leggere …

Post-terremoto all’Aquila, l’Antimafia indaga su Reggio

La Procura Distrettuale Antimafia dell’Aquila, che da tempo sta indagando sulla ricostruzione post-terremoto in Abruzzo, ha messo gli occhi anche su alcune imprese reggiane in odore di ‘ndrangheta. Accertamenti sarebbero in corso da qualche giorno anche nella nostra provincia. Secondo quanto si è appreso, in particolare, a confortare questa tesi vi sarebbero dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni telefoniche. Alle prime battute di queste indagini sugli appalti per la ricostruzione del terremoto in Abruzzo, all’Aquila erano scattate le manette per sei persone, legate al clan dei casalesi. Ora la svolta: anche l’ndrangheta, e in particolare le cosche già radicate in Emilia hanno messo le mani su questo business“.

La notizia di questo nuovo inquietante filone di indagine arriva a Reggio all’indomani della firma del protocollo antimafia per i lavori della Tav. Ricordiamo che anche la costruzione della Tav nella tratta Reggio-Parma, quasi un anno fa, aveva avuto problemi simili:

19 Ottobre 2009, indagini della Direzione investigativa antimafia a carico dei un’ impresa di Gela, secondo gli investigatori, «imparentata» con una famiglia mafiosa – che ha operato nei cantieri TAV (Treno ad alta velocità) nella tratta Reggio Emilia-Parma.

Questa è l’ennesima prova che le mafie hanno una consistente presenza a Reggio Emilia. Spesso però questa presenza è sottovalutata e schivata.
Le attività gestite nella nostra città dai clan mafiosi sono traffico di droga, edilizia, autotrasporti, estorsioni, gioco d’azzardo, settore del divertimento. I clan presenti all’interno della nostra città sono molteplici: Casalesi, ‘Ndrangheta (Grandi Aracri-Nicoscia, Arena-Dragone).

La Redazione di Cortocircuito

Inchiesta: la verità sull’immigrazione (partendo dai luoghi comuni)

tre ragazze da noi intervistate

Da quest’inchiesta, realizzata dalla redazione di Cortocircuito nell’estate 2011, ha preso spunto il cortometraggio “Noborder, senza confini”, clicca qui per vederlo.

Siamo andati in giro per il centro storico della nostra città ad intervistare qualche nostro coetaneo per chiedergli il suo parere sull’immigrazione, partendo da alcuni diffusissimi “luoghi comuni” sull’argomento. Dopo abbiamo letto accuratamente i documenti in merito sui siti del Ministero dell’Interno, della Banca d’Italia, dell’Istat e di altri Istituti si Ricerca per vedere se i “luoghi comuni” sull’immigrazione corrispondono ai DATI. Leggete di seguito cosa abbiamo scoperto! …il testo è un po’ lungo, ma ne vale la pena.

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1- Stupri, rapine, scippi, …ascoltando i telegiornali e leggendo i quotidiani risulta evidente cha la presenza di immigrati sul nostro territorio incrementa considerevolmente il numero di reati. Secondo te è vero che la presenza di immigrati aumenta la delinquenza?

– Riccardo Menozzi ed Edoardo Talignani: Si, si …
– Matteo Foracchia: E’ un fenomeno che comunque alimenta il mercato nero e anche di scippi e delinquenza.
– Elisa Valli: Secondo me c’è, più che altro poiché arrivano persone che hanno brutte intenzioni …
– Gaetano D’Angelo: Alla grande!
– Wael Hussein: Fai te vecchio, l’immigrazione …si, per forza.
– Andrea Delrio: Si sempre.
– Federico Rossi: Secondo me loro vengono in Italia per fare dei casini, perché se li fanno nei loro paesi ci sono troppe leggi …e “gli fanno il culo”.
– Eleonora B.: Purtroppo è brutto generalizzare, ma se guardiamo le percentuali dei casi sono sempre queste persone.
– Jean Claude: Assolutamente si!
– Alessandro Ferretti: Secondo me, l’immigrazione porta a tante brutte cose.

grafico n°1

Nonostante la presenza di immigrati in Italia, come illustra la linea blu di questo grafico (n°1), negli ultimi 20 anni sia aumentata vertiginosamente e più di ogni altro paese europeo (dal 1998 al 2008 la crescita è stata del 246%, fonte Istat), la delinquenza non è aumentata sostanzialmente. Infatti come illustra chiaramente lo stesso grafico (n°1), ottenuto da un sondaggio Istat – Ministero degli Interni, nel 2003 si sono commessi lo stesso numero di crimini del 1996 e nel 2007 il numero di reati è stato simile al 1991. L’aumento di crimini che vediamo tra il 2006 e il 2007 è dovuto invece all’indulto.

In sostanza negli ultimi 15 anni, nonostante il forte aumento dell’immigrazione, il numero totale dei crimini non ha avuto un aumento significativo. Ad ogni modo, a confermare questa tesi vi è anche un rapporto della Banca d’Italia che, attraverso studi econometrici, dimostra che l’aumento del numero di immigrati non causa un aumento del numero di crimini.

Eppure un sondaggio ISPO, che risale al 2003, mostra come il 57,4% degli italiani -come i ragazzi da noi intervistati- vede l’immigrazione come fonte di delinquenza. continua a leggere …

Una barba di ingiustizia

Sono passati 21 anni. Era il 5 agosto 1989, giorno in cui l’agente Nino Agostino e la moglie Ida vennero uccisi davanti all’abitazione della famiglia Agostino da uomini-bestie mafiosi. Nino era un poliziotto “scomodo” a Cosa nostra, poiché aveva scoperto fatti relativi all’attentato fallito destinato a Giovanni Falcone all’Addaura.

Dopo 21 anni cosa è rimasto? Disperazione, dolore, tristezza e angoscia per la perdita di Nino e Ida, ma soprattutto rabbia: giustizia non è stata fatta, gli assassini e i mandanti dell’omicidio sono ancora liberi e sul caso è stato apposto il segreto di Stato. Quel giorno la famiglia si era ritrovata per festeggiare il compleanno della sorella di Nino e, quella che doveva essere una giornata serena, si trasformò in tragedia quando Nino e Ida uscendo di casa furono colpiti dai proiettili dei mafiosi che scapparono via infami e contenti.

I genitori di Nino, Vincenzo e Augusta, appena avviate le indagini si dimostrarono molto decisi nel voler soddisfare la loro sete di giustizia e purtroppo ancora oggi, portano avanti questa dura battaglia contro chi ha ucciso Nino e Ida e contro quello Stato che non ha ancora scoperto la verità. Da quel 5 Agosto ’89 Vincenzo Agostino non si taglia né barba e né capelli e continueranno a crescere finché non sarà stata fatta giustizia, ricordando così l’ingiusta morte di Nino, Ida e la bambina che ella portava in grembo.

Nuccia Ciambrone


Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C

 

Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato. Ma non come un atto di privilegio, bensì come una ricompensa al merito. E la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e nonostante in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, ebbene però tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui, ad Atene, NOI facciamo così.

Elucubrazioni mentali su questa cosa chiamata mafia

Che cos’è la mafia? A tale quesito ognuno immagina fatti più o meno differenti: chi pensa a pistole e omicidi, chi a denaro sporco ed estorsioni, chi a raccomandazioni e favoreggiamenti, chi a onore e silenzi e chi ricorda piccoli e grandi uomini. Ma qualsiasi immagine noi ne abbiamo, questo sistema che si ritiene lontano da ogni moralità ed etica, è più vicino di quanto si immagini.

La mafia, purtroppo, è un sistema che agisce nel silenzio; un silenzio minaccioso che sopprime qualsiasi cosa e qualsiasi uomo,in cui uno sguardo è di troppo e una parola manca ed è grazie a questo tacere che le organizzazioni mafiose crescono giorno dopo giorno nutrendosi di corruzione e istituzioni, parole e silenzi, povertà e denaro, amore e odio e di fiori e pistole.

Perciò, la lotta alla mafia non è solo la disapprovazione a un’organizzazione che non si tollera, ma questa lotta deve essere la luce che aiuti a illuminare il sentiero di speranza verso la giustizia delle vittime di questo sistema malato. E non importa se combattendo qualcuno dubiterà della fede nei nostri ideali, ma se daremo la speranza anche solo ad un giovane o ad una donna, la nostra battaglia l’avremo già vinta.

Nuccia Ciambrone (scuola Chierici)

La cultura è il cammino della libertà, “Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: gli uomini si liberano nella comunione” (Paulo Freire, “La pedagogia degli oppressi”, EGA Editore, Torino).
Possiamo costruire la nostra libertà, durerà nel tempo solamente se le sue fondamenta saranno fatte di Cultura; non possiamo essere liberi senza sapere di poterlo essere. Il grande compito degli oppressi: liberare se stessi e i loro oppressori.

“Se la mafia è un’istituzione anti-Stato che attira consensi perché ritenuta più efficiente dello stato, è compito della scuola rovesciare questo processo perverso, formando giovani alla cultura
dello stato e delle istituzioni” (Paolo Borsellino).

Sarà la Scuola a sconfiggere la mafia, l’essenza dell’educazione come pratica di libertà, nella scuola c’è parola, lavoro, azione e riflessione; queste pratiche se saranno colorate di democrazia, se saranno messe a disposizione di tutti, allora i diritti di questi verranno rispettati. Educare alla legalità, significa anche riconoscere l’altro nella sua sostanza, nella sua realtà, solo su questo terreno potrà nascere un prato contaminato ma fertile. Scuola come crogiolo di parole: semi piantati, stabili, ricche di senso e governate dalla razionalità capaci di ispirare ognuno al rispetto di regole condivise.

Credo che per combattere la criminalità organizzata non basti il lavoro dei Giudici se pur fondamentale, penso che la politica repressiva dello stato non abbia alcun senso; diventa necessario intervenire nei luoghi frequentati da giovani, la Scuola può essere determinante, aiuta un giovane a crescere in armonia con se stesso e a rispettare l’individuo. “Se nulla resterà di queste pagine, speriamo che resti almeno la nostra fiducia nel popolo. La nostra fede negli uomini e nella creazione di un mondo dove sia meno difficile amare.” (Paulo Freire, “La pedagogia degli oppressi”, EGA Editore, Torino).

Eduardo Raia (scuola Magistrali)

Più di 2000 giovani il 1° marzo 2010 hanno sfilato per le strade di Reggio Emilia per dire un fermo NO a tutte le mafie. E’ stato una giornata di festa e di riflessione per la nostra città. “La mafia uccide, il silenzio pure” era scritto su uno dei tanti striscioni del lungo colorato corteo.