[articolo pubblicato sulla Gazzetta di Reggio il 22 Febbraio 2012]
«Mi sono accorto di essere omosessuale verso i dodici anni, in seconda media. Durante l’ora di educazione fisica guardavo le gambe dei miei compagni, di quelli più belli, naturalmente. L’ho capito di colpo, con chiarezza: mi piacciono i ragazzi». Un incipit che compie vent’anni e fa ancora scalpore.
In occasione del ventunesimo anniversario dalla pubblicazione, “Ragazzi che amano ragazzi” di Piergiorgio Paterlini uscirà in tredicesima ristampa per Feltrinelli. Ancora uno dei pochi libri che in Italia e in Europa rappresenta e racconta l’infanzia e l’adolescenza dei ragazzi omosessuali. Attraverso le “confessioni” degli adolescenti stessi.
Nella nuova edizione le dodici storie originali saranno introdotte da due testi scritti appositamente dall’autore per questa edizione speciale, due testi che tentano di riassumere e assimilare le evoluzioni politiche e sociologiche degli ultimi due decenni. Cercando di raccontare soprattutto la storia del rapporto fra questo libro e i suoi lettori, tra l’avvento della tecnologia e la radicata autorità dei tabù.
– Nel 1991 come è nato “Ragazzi che amano ragazzi”?
«Ho pensato di scrivere il libro che avrei voluto trovare in libreria, ma non esisteva ancora. A quel tempo se si parlava di adolescenti li si supponeva tutti eterosessuali, quando si parlava di omosessuali li si pensava tutti adulti. Invece io volevo raccontare l’amore omosessuale tra ragazzi. Non per me, ma per gli altri. La mia scrittura ha sempre avuto un fine più civile che autobiografico. Inizialmente non sono stato io a cercare i ragazzi, ho atteso che loro cercassero me. Li ho aspettati. Li ho ascoltati a lungo, con grande rispetto. Poi ho raccontato con sincerità le loro storie».
– Perché la società è in divenire mentre questo libro non invecchia?
Mi auguravo che questo libro sarebbe invecchiato nel giro di pochissimi anni. Ero del tutto convinto che il mio libro sarebbe stato ricordato come documento storico di un’epoca superata. Non è stato e non è così. La società italiana e la chiesa cattolica ne portano la colpa, il peso, la responsabilità schiacciante. Ma devo aggiungere una cosa. Mi sono reso conto che nessuno può illudersi che un tabù così radicato nei secoli, un tabù che affonda le radici nei due grumi più tosti con i quali l’umanità deve fare i conti – il sesso e la religione – potesse essere sconfitto e digerito nel giro di pochi decenni».
– In quale misura l’ignoranza e il pregiudizio condizionano la politica?
«Radicalmente. L’attualità di questo libro è lo specchio della vergogna italiana. Un paese in cui a causa di retaggi omofobi i diritti vengono negati. Gli stessi diritti civili che non avevano gay e lesbiche vent’anni fa non ce li hanno neanche adesso. Sono rimasti cittadini di serie b, c, di un provincialissimo campionato dilettanti».
– Lei sostiene che un ragazzo omosessuale ancora oggi guardandosi allo specchio prenda un colpo ogni volta. Per quale motivo?
«Perché anche se tanto è cambiato, la società rimane arpionata ai medesimi tabù. Alla stessa ancestrale ignoranza, al razzismo che genera esclusione, al pregiudizio. Oggi si è interconnessi, si ha la possibilità di incontrarsi, di confrontarsi, di condividere. I ragazzi omosessuali è più difficile che si sentano così soli (ma succede ancora), ma il bullismo omofobico e la violenza persino fisica contro i gay ci sono ancora e mietono vittime, anche in senso proprio. Basta leggere le cronache. Pochi giorni fa due ragazzi, uno di 14 uno di 16 anni, si sono uccisi a causa dell’omofobia, che sì è una malattia, a differenza dell’omosessualità. Poi certo viviamo in un’epoca di transizione in cui sembra che nessuno riesca a vivere nel presente. Viviamo con tutto il peso del passato ancora sulle spalle e pezzettini di futuro che a fatica si fanno largo tra il buio e fanno intravedere una società diversa, migliore».
– Oltre a essere uno scrittore felice, come lei scrive, quando non sarà più un cittadino infelice? Esiste una soluzione?
«Si dovrebbe giungere a una moratoria. Spesso dopo l’evidenza, dopo l’errore e l’orrore ci sono idee che il consesso civile mette fuorigioco e a volte persino fuorilegge per sempre. Anche in materia di omosessualità si dovrebbe giungere a condannare questa specie di negazionismo. Basta dibattiti. E’ tempo che si faccia qualcosa. Anzi è tardi. Anzi qualcosa è poco. Perché qui c’è in gioco la vita e la felicità di milioni di persone».
Valentina Barbieri (collaboratrice giornalino studentesco Cortocircuito)